Musicoterapia, sia di gruppo che individuale, danzaterapia, esercizi di psicomotricità, lavori di pittura e ceramica per stimolare la manualità e laboratori di autonomia. Sono queste le molteplici attività svolte, all’interno del progetto “SI-SienaSociale la coprogettazione che tanto vale”, dall’Associazione Sesto Senso che si occupa di disabilità a trecento sessanta gradi.
Tutte iniziative che hanno come finalità principale la socializzazione, il riuscire a stare in gruppo, a starci bene ed ad accettarne tutte le dinamiche.
In questa ottica quello dei laboratori di autonomia è un momento molto importante: i ragazzi, 4-5 per volta, accompagnati dagli operatori, vanno a fare la spesa, si preparano il pranzo tutti insieme (collaborando ovviamente ognuno secondo le proprie possibilità), poi rimettono a posto e puliscono insieme. In alcuni casi il laboratorio diventa notturno, i ragazzi si trattengono per una, due o più notti e questo è un altro step molto delicato.
“L’esperienza che stanno facendo è molto significativa”, – ci conferma Maria Luisa Mion della cooperativa sociale Valle del Sole (con sede a Casole d’Elsa) che fornisce gli operatori e si occupa della parte didattica – “perché per molti di loro si è trattato della prima volta che sono usciti da casa ed hanno affrontato situazioni del tutto nuove. Anche il solo fatto di trovarsi in gruppo è un elemento rilevante, perché di solito i ragazzi sono abituati ad avere una persona accanto dedicata, sia a casa (un genitore) che nel percorso scolastico (un insegnante di sostegno) e dover dividere l’attenzione e il tempo dell’operatore con gli altri compagni è una conquista, devono imparare a gestire le emozioni.
Per gli operatori è un’esperienza anche molto impegnativa, perchè oltre alla presenza di alcuni casi con un livello di handicap piuttosto grave, si tratta di fare un doppio lavoro anche con le famiglie, con le quali è necessario instaurare un rapporto di fiducia, affinchè ti consegnino i propri figli. Avere un figlio con disabilità vuol dire anche avere una relazione molto forte, molto stretta, il timore sempre presente che possa sentirsi male o farsi male. Per questo abbiamo delle chat di WhatsApp con le famiglie, dove condividiamo foto e momenti della nostra giornata, perchè renderle partecipi le fa stare più serene”.
L’associazione Sesto Senso nasce a Siena nel 2000 per iniziativa di un gruppo di genitori/parenti di ragazzi diversamente abili con l’obiettivo di sensibilizzare il territorio e il mondo della scuola alle tematiche della disabilità.
“Siamo andati avanti attraverso vari progetti – racconta Maria Chiara Scopelliti, una delle referenti dell’associazione, sorella di Benedetta -, quello ‘pilota’ è sempre stata la musicoterapia. Nel 2017 è arrivato “Il Dono”, abbiamo ricevuto in comodato d’uso gratuito, dall’Ordine dei frati Cappuccini di Firenze, questo convento (a Colle Val d’Elsa), che è stato chiamato così non a caso. Ci siamo infatti spostati da una realtà di 50 metri quadri, in questo tipo di spazio e di potenzialità. Da lì è seguito un periodo di ristrutturazione e manutenzione, un lavoro molto intenso da parte di genitori e volontari (si tratta di un Odv) ed oggi si può vedere quello che è stato realizzato. Nei tanti spazi che ora abbiamo possiamo fare molteplici attività, grazie alla collaborazione con la cooperativa Valle del Sole e gli operatori sociali: dalla musicoterapia, all’orticoltura accessibile, alle attività artistico-artigianali, con la caratteristica che abbiamo avuto fin dall’inizio, ovvero quella di essere aperti a tutti.
L’associazione si occupa infatti anche di ragazzi con handicap molto gravi, perché il nostro principio è che i diritti sono di tutti e per noi questo è un aspetto vitale. Ci piace sottolinearlo perché tante volte anche all’interno del mondo delle disabilità e del terzo settore si creano delle ‘gerarchie’ che vanno a schiacciare delle realtà più scomode e difficili da trattare, ma che non devono essere lasciate indietro e dimenticate.
E’ sicuramente impegnativo mettere insieme vari livelli di disabilità, ma il principio deve essere quello dell’architettura accessibile: se si toglie uno scalino e si mette uno scivolo ci può camminare la persona che non ha alcun tipo di difficoltà, come quella che si è rotta una gamba e va con le stampelle, come quella in carrozzina. Con l’approccio di rendere tutto accessibile a tutti, metodologicamente con dei professionisti, si possono raggiungere degli obiettivi coerenti con quello che si vuole mettere in campo.
La cosa importante – conclude Maria Chiara – è quella di ragionare non nell’ottica di progetti, che hanno un termine temporale, ma in quella di modelli, per dare continuità al lavoro svolto”.
Silvia Sclavi
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