“La mia cena con un pachistano e un afgano”: la Siena della solidarietà  anche a tavola

Riceviamo e pubblichiamo una lettera di una nostra lettrice che desidera rimanere anonima. Riguarda l’iniziativa, di “SiSolidal”, “Aggiungi un posto a tavola” che a Siena si sta concretizzando con tanta generosità da parte di diverse famiglie senesi.

Sono quasi le sei e mezza di sera di un sabato sera di novembre. Mi avvio a piedi per le vie della mia città.

Sono eccitata, inquieta, preoccupata, felice.

È la prima volta.

Suono il campanello, mi aprono subito. Salgo le scale, rapida, e mi presento alla porta.

Laura mi accoglie, Teresa è seduta intorno a un tavolo. E poi c è un ragazzo giovane. Occhi verdi, sguardo penetrante. Mi saluta gentile, e si presenta.
Non posso fare a meno di pensare che assomigli a un attore. È un ragazzo bellissimo.
Poi sento l’acqua della doccia che scende nel bagno vicino.

“Allora è già sotto la doccia!” Esclamo a voce troppo alta. Me lo dico da sola che è troppo alta. E me lo dirò spesso in questa serata perché lo so che quando sono un po’ agitata la mia voce diventa stridula e stonata.

Il silenzio mi fa sempre un po’ paura. Ma non è facile riempire tutto il silenzio di stasera.

La porta del bagno si apre. Esce un ragazzo dal sorriso triste. Ci saluta, una per una. Impacciato.

Non è molto alto. Ci dice Shahid, che funge un po’ da mediatore linguistico, che non è come la maggior parte pakistano. Ma afghano. Arrivato qua a Siena da un mese.

E tu, Shahid, da quanto sei in Italia:
“Da quasi un anno sono a Siena”.

Ventiquattro anni ha Hakeem Ventisette Shahid.

Non riesco a smettere di guardarli. Ammirata dal loro coraggio. Confusa.

Vorrei chiedere tante cose ma la barriera linguistica nonostante sappia un po’ di italiano è ancora alta.

Mi affido al sorriso. Ogni volta che incontri lo sguardo di Hakeem sorrido. E lui fa altrettanto.

Quando Monica mi ha condiviso il volantino di Aggiungi un posto a tavola, iniziativa di Sisolidal per una accoglienza non solo formale ma anche umana e affettuosa di uno dei ragazzi “pakistani” ho subito pensato che fosse una fantastica idea.

Non si chiedeva molto nel volantino: un invito a casa per una cena, o un pranzo, ogni due settimane, e una doccia calda.
Ma subito dopo il mio entusiasmo iniziale era arrivata la paura. Non so neanche di cosa. Che fosse difficile, forse. O che fosse una situazione che non sarei riuscita a gestire. E poi la lingua diversa. E quell’ atavico timore delle differenze.

Domenica però alla manifestazione ho trovato persone con le mie stesse incertezze. E ci siamo unite. “Dai, invitiamolo insieme”, ci siamo dette. Ci alterneremo. Una volta a casa di ognuna, a turno. E ognuna prepara qualcosa per la cena.

Tutte le ansie e i timori spariti. Rimasta soltanto la voglia di tanti colibrì incerti di fare la nostra parte, per quanto piccola.

Stasera da Laura. La prossima volta da me.o da Lucia che nel frattempo si è unita anche stasera al gruppo.

Ci mettiamo a cena prestissimo, poco dopo le sette. E alle otto la cena è già finita. Kaheed e Hakeem sono giovani, e come tutti i ragazzi sono sui social. Così, alle nostre domande sulle loro città, rispondono mostrandoci video, foto, e ricordi che tengono preziosi nel loro smartphone.

E non parlatemi male dei cellulari. Questi ragazzi senza il cellulare sarebbero persi in un mondo ostile fatto di paure e senza ricordi.

Hakeem ogni tanto prova anche a usare il traduttore , per capire cosa diciamo.
“Devi imparare l’italiano, così poi ti farai, più amici, anche italiani”.

Che illusione la mia. Eppure in questo momento mi sembrerebbe la cosa più naturale del mondo.

Sbaglio. E me ne rendo conto subito. La mia è una speranza. Una utopia. Forse una sciocchezza.

Eppure vorrei iniziare a lottare per questo. Come molti stanno già facendo. Da anni. Anche qui a Siena.

Un piccolo sogno. Intanto. La prossima volta voglio preparare la pizza a casa mia quando verranno. Così conosceranno anche tutta la mia famiglia.

Sono le nove e venti quando riaccompagno Hakeem nel luogo che, in queste notti fredde, li sta ospitando a dormire.

Vorrei abbracciarlo, prima di salutarlo. Ma sarebbe fuori luogo. Strano come le persone provino affetto istintivo e improvviso per un altro essere umano. Una tenerezza infinita mi scuote, la traduco in un altro sorriso.

Buonanotte, Hakeem. Buonanotte, Shahid. E intanto penso già alla prossima settimana. Serata pizza. Chissà se gli piacerà.

 

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